C’è la Galetta che nasce da un’emozione. Quella di due figli – GA-briele e Di-LETTA – che guardano il futuro attraverso un fiore.
C’è la Lamprà, dal greco “chiara”, con i colori del cielo e mare e il galletto segnavento. Una birra fresca, estiva, a bassa gradazione, aromatizzata con buccia di lime e coriandolo, ideale per l’aperitivo o con il pesce.
La De Vinz, d’ispirazione Belgian Ale, è dedicata a un amico.
Nathia, una ambrata, è nata a Natale. Non poteva essere altrimenti.
La Cesyt nasce all’inizio di quest’avventura brassicola, in un periodo di stallo, durante quella che molti produttori devono spesso affrontare, la lungaggine della burocrazia italiana. Una birra nata per caso, come il nome, dal luppolo Rakau, neozelandese. Una Brown Ale con un meraviglioso tappeto di malti tostati, 4,6 gradi, secca con aromi di caffè e cacao. Sorprendentemente fresca. E sull’etichetta torna Diletta con i capelli al vento.
La Grika è l’ultima nata, intensa, vinosa perché raccoglie la sfida di un vino bianco, quello di Alessano. Sull’etichetta, un quadro che raffigura una donna che balla la pizzica, una chiesa, i colori. È la Grecìa salentina.
E in questa sfilata di colori c’è anche la Pessima. Che è un nome un po’ folle. “Vorrei una birra Pessima, grazie”. Una provocazione che resta. Si riferisce in realtà alla “Fiera Pessima” che si tiene a Manduria da ben 277 anni e durante la quale il tempo è sempre “pessimo”. Da qui il nome e, sulla bottiglia, una figura maschile con un ombrello. Stile d’ispirazione bock, 7 gradi alcolici, corpo consistente dal gusto dolce con note di frutta secca.
Dietro ognuna delle sette birre del Birrificio Daniel’s di Manduria (Taranto) una storia, un racconto, un sacrificio, uno stato d’animo, un filo conduttore, una magia.
Tutto nasce nel 2008 nella terra del Primitivo. Ma questa non è la storia di una cantina. È la storia di un birrificio.
Tra giare e bottiglie di vino del padre, Daniele Romano si divertiva a giocare con malti, luppoli, lieviti e temperature e a produrre birra per se stesso, con un impianto – comunque di tutto rispetto – da 100 litri, di notte, nel weekend, con una media di due produzioni al mese. E così dalla compagnia di un amico è passato a venti amici che cucinavano mentre lui lavorava. La passione si trasforma in lavoro. Ed ecco il mastro birraio Daniele che spiega in quello che doveva essere il suo mobilificio – la famiglia è nel settore arredamento da cinquant’anni – le materie prime, le tecniche di produzione e i diversi stili.
Daniele è il brewmaster. Ma, si sa, dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna.
Anna Fiorenza è la responsabile commerciale e sua compagna anche nella vita. Decisa, determinata. “La deus ex machina del birrificio”, ammette Daniele. “Prima ero astemia”, confessa lei. “Ma un prodotto per riuscire a proporlo lo devi conoscere, lo devi provare”. Galeotto, in realtà, fu un cocktail di Michele Di Carlo e un corso sulla birra.
Quella di Daniele e Anna è “una birra che ti incanta”. Accanto al logo del birrificio una figura femminile dai capelli lunghi che suona un flauto davanti a bottiglie di birra. Una pifferaia magica. È stato il progetto grafico del birrificio Daniel’s prima di approdare a Eataly. “In quel periodo Michele Bruno del Mercatino del Gusto di Maglie – ricorda Anna – mi chiese se quella strega raffigurata fossi io – ride – E ho pensato subito che allora questa immagine fosse quella giusta!”. Perché un occhio solo? “Perché la nostra è un’opera incompleta, sempre in divenire”.
Ed è una storia al femminile anche quella che si nasconde dietro al luppolo scoperto intorno al 1200 da una donna, una suora, Hildegard von Bingen. La studiosa scoprì che il luppolo allungava la vita del prodotto in cui era inserito ed era un antisettico naturale. Ne esistono 500 tipologie, racconta Daniele, che si procura i luppoli sempre freschi in Inghilterra, Rep. Ceca, Germania e Nuova Zelanda.
È proprio il luppolo – spiega Daniele mentre mostra i suoi macchinari – che cede l’amaro a inizio bollitura mentre alla fine, negli ultimi 15 minuti, conferisce l’aroma e una parte di sapore alla birra.
Utile da sapere, la birra non scade. O meglio, la bottiglia riporta l’indicazione temporale con la quale il produttore consiglia di consumare il prodotto ma non è mai tossica. Insomma, non buttate una birra scaduta, non vendetela ma bevetela voi o regalatela.
Inoltre Daniele tiene a precisare che le sue birre non contengono derivati di origine animale e sono rifermentate in bottiglie con la stessa temperatura. La “tappatrice seriale” è Anna che manualmente chiude il ciclo della produzione riempiendo, etichettando e tappando una a una le bottiglie.
Perché una birra artigianale si riconosce non solo dal sapore ma anche da questi piccoli grandi, grandissimi gesti.